Tuesday, September 20, 2011

Sunday, March 13, 2011

Viva Africa

http://www.youtube.com/watch?v=_vMXe1zsHFQ&feature=related

Friday, March 11, 2011

ISRAEL & PRIVACY

‘All persons have the right to privacy and to intimacy.’

Art. 7.a, Human Dignity and Liberty, Basic Law – passed by the Knesset on 12 Adar 5752 (17th March 1992) and amended on 21 Adar, 5754 (9th March, 1994). Amended law published in Sefer Ha-Chukkim No. 1454 of the 27th Adar 5754 (10th March, 1994).

Nel 2004, con il caso ACRI vs. the Ministry of Interior, la Suprema Corte israeliana ha sancito il rango costituzionale del diritto alla privacy, come garantito dalla legge fondamentale ‘Human Dignity and Liberty’, del 1992. In quell’occasione, la medesima Corte, ha chiarito la posizione della disciplina giuridica inerente alla protezione dei dati personali, come rientrante in quella stessa, più ampia tutela.

Dal 1981 è in vigore, nello Stato di Israele, the Protection of Privacy Law, composta da 37 articoli, divisi in cinque capitoli: 1) Infringement of Privacy; 2) Protection of Privacy in Database; 3) Defences; 4) Imparting of Information or Data Items by Public Bodies; 5) Miscellaneous. Dalla sua entrata in vigore, la legge suddetta, è stata emendata nove volte – in modo da rinforzare la sua efficacia, in risposta ai progressi della transnazionale società dell’informazione.

Appaiono ormai chiari, nell’ordinamento israeliano, concetti quali ‘consenso informato’, per l’utilizzazione dei dati personali e ‘adeguatezza della protezione’, come previsto dalla normativa comunitaria. A proposito, tra il 2004 e il 2007, venne istituita la cd. Commissione Schoffmann, con il compito di valutare una riforma della materia giuridica israeliana, concernente la Privacy, prestando particolare attenzione alle disposizioni EU a riguardo. Venne, allora, dato risalto alla direttiva 95/46/EC, testo fondamentale a livello EU, per quanto riguarda la protezione dei dati personali.

Grande attenzione è stata data alla panoramica internazionale, sia per quanto riguarda spunti legislativi per un proficuo ammodernamento della materia, sia per quanto riguarda programmi di cooperazione internazionale inerenti alla stessa. Vengono in rilievo, il programma di ca. 1 milione di euro, siglato con l’Unione Europea – attivo dalla fine del 2008, e la conferenza internazionale su Privacy e la Protezione dei Dati Personali, del 2010 – ospitata dallo Stato di Israele, in Gerusalemme.

A norma dell’articolo 8, della legge 5741/1981, Protection of Privacy Law, i databases contenenti dati personali devono essere registrati, sia a livello pubblico che privato. Al fine della gestione di tali databases, il Ministro della Giustizia ha istituito un sistema centralizzato di controllo, in seno all’ILITA, autorità competente in materia di diritto dell’informazione e delle tecnologie – Israeli Law, Information and Technology Authority. La stessa ILITA, tuttavia, è di recente costituzione, disposta attraverso una serie coordinata di interventi normativi: the Electronic Signature Law, 5781-2001 (Certification Authorities Registrar); the Credit Data Services Law, 5782-2002 (Databases Registrar, Credit Data Services Registrar).

Infine, per quanto riguarda gli illeciti, sono previste sanzioni civili e/o penali – a norma dell’articolo 5, della l. 5741/1981, la pena detentiva può arrivare fino a cinque anni di reclusione. Nell’ambito della pubblicazione, viene fatto riferimento e rinvio alla legge sulla diffamazione, n. 5725 del 1965 – art. 3 l. 5741/1981. A prescindere dall’autore della pubblicazione, sono previste responsabilità in capo al gestore/possessore del database contenente i dati personali in questione – art. 17, l. cit. – e anche, nel caso di soggetti privati, qualora la diffusione di informazioni sia attuata attraverso mezzi di posta diretta.

11.03.2011
Caterina Pikiz G.

Sunday, February 27, 2011

RIVOLUZIONI, MONDO ARABO E BOOMERANG ECONOMICO

‘ECONOMICS OPIUM OF NATIONS’


LA VÉRITÉ NE PEUT ÊTRE CONTENUE DANS UN SEUL RÊVE'
PROVERBE ARABE

Si tratta dell’incertezza, della più amplia e profonda incertezza, dalla caduta dell’Impero ottomano. Si tratta di un terremoto che potrebbe, nel riassestamento, configurare un nuovo mondo, politico, sociale, religioso. Economico. Arabo. Una nuova proposta di panarabismo che, fin’ora, si riassume nel sovvertimento di precari equilibri. Una proposta mai realizzata, fin’ora, nella Storia, che non permette lungimiranti predizioni ma sì serie considerazioni, da tempo (troppo) sottaciute.
Tunisia, Algeria, Egitto, Giordania, Bahrein, Yemen, Libia, chiedono democraticamente benessere. Laddove ‘democraticamente’ sta per mezzo del potere popolare. E parrebbe legittimo. E parrebbe sacrosanto, ‘cristianamente’ e ‘islamicamente’ parlando. Peccato che la rivendicazione del minimo insindacabile dovuto, per la fedeltà allo Stato, sia una bandiera che, questa volta, non si adagia e nasconde dietro a una religione particolare ma, anzi, si fa forza e si universalizza in prima linea, oltre frontiera, a braccetto con principi cardine dell’economia più spicciola, da sempre.
Un’elevata percentuale del fabbisogno mondiale di oro nero, è sedata dalla mezzaluna araba: Algeria 2.5%, Libia 2.1%, Egitto 0.8%, Siria 0.5%, Iraq 2.8%, Kuwait 3.0%, UAE 3.3% e Arabia Saudita 11.6%. L’Europa ne dipende drammaticamente e l’Italia si fa modello, a proposito, con una dipendenza petrolifera dalla Libia pari al 23% della richiesta nazionale. Senza contare le importanti partecipazioni libiche in enti chiave dell’economia italiana, quali Unicredit, Finmeccanica o Juventus.
Ci si chiede, allora, quali siano le conseguenze che avanzeranno da quest’ultima, imponente, catastrofe politica. Quali conseguenze sociali, ma soprattutto economiche - quali conseguenze per il PIL dei Paesi della produzione, ma soprattutto per quello dei consumatori. Complicata prognosi e dolorosa diagnosi. Il 25 febbraio scorso, l’Organizzazione Internazionale dell’Energia ha organizzato un incontro di ben ottantasette delegati di Governo appartenenti a Paesi membri del Forum Energetico Internazionale. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), per ammortizzare i colpi, tende una mano alle restie India e Cina consapevoli, queste ultime, di ricoprire un ruolo sempre più cruciale nello scacchiere internazionale.
‘Chi di economia ferisce, di economia perisce!’, sembrerebbe il caso di affermare. E infatti, proprio Paesi che hanno permesso il fiorire del benessere ‘occidentale’, oggi lo rivendicano, oggi lo richiedono a gran voce per sé. E se filo-occidentalmente parlando è impensabile dargli torto, egoisticamente, umanamente parlando, le risorse non sono illimitate: se il progresso equivale a crescita, se l’Occidente continuasse a profetizzare progresso come sinonimo di crescita e di consumo, avrebbe già perso.
Ma se può apparire semplice, a primo sguardo, un cambio di rotta nelle politiche economiche, come del resto molti prospettano per la stessa EU e auspicano, la Storia e i fatti denunciano il contrario. Come non ricordare, per esempio, la stessa rivoluzione industriale; come non ricordare il sorpasso di Germania e di Stati Uniti, novizie, all’inesorabile momento di innovazione tecnica, ossia, alla necessità di conversione delle macchine di produzione in nuove, più sofisticate che avevano portato all’apice proprio la pioniera Gran Bretagna. La strada in salita, i cambiamenti necessari. Si riparte da dove ci eravamo lasciati.


Appunti mediterranei di Caterina Pikiz G. cpikizgattinoni@live.fr
The Devil’s Advocate for The Post Internazionale
Roma, 27 febbraio 2011