Tuesday, April 3, 2007

Egitto - il dopo referendum. 27 marzo 2007

Sembra che gli avvenimenti internazionali degli ultimi anni abbiano deviato i percorsi che si erano già pianificati e con loro anche molte certezze sono scomparse, lasciando spazio a nuovi dubbi e attori in scena. Mubarak, il Presidente egiziano, però regge ancora il gioco, disponendo ordine e meditate, proficue alleanze da quella che rimane la più grande metropoli africana e madre del mondo*: al Qahira (il Cairo).
L’Egitto è un Paese in costante sviluppo e crescita, sotto diversi aspetti. Se da un lato però, è vero, la necessità di riequilibrare il bilancio negativo, provoca una proficua tensione al miglioramento, dall’altro, sono evidenti le grosse difficoltà all’autofinanziamento nel progresso, ancora frutto d’ingenti somme in valute straniere. Il Paese del Canale di Suez, del Mediterraneo, del mondo arabo, del mondo islamico, dell’Africa, al confine con Israele e Palestina, l’Egitto è misterioso almeno quanto le sue piramidi. E probabilmente si tratta di una caratteristica usata ed abusata dallo stesso.
Nel 1981 il Presidente successore a Nasser, Sadat, fu assassinato e lo stesso anno prese il suo posto l’allora cinquantunenne Muhammad Hosni Mubarak. D’allora non ha più ceduto il suo incarico, dopo ben cinque elezioni presidenziali – l’ultima nel settembre 2005 – la caduta del muro di Berlino, la morte di Arafat e persino quella di Saddam. D’allora l’Egitto di Mubarak non ha mai smesso di sfruttare la sua incredibile posizione, trovando semplicemente un equilibrio in essa.
Pare sia uno Stato a cavallo tra Oriente ed Occidente, un modello nella conciliazione delle due sfere d’influenza, promotore di libertà e guardiano di tradizioni.
Nel 1969 fu fondata l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, composta da 26 Stati, tra cui l’Egitto. Nel corso degli anni, i Paesi aderenti sono diventati 57 e sono state fatte tre dichiarazioni, che dovrebbero assumere il ruolo che per l’UE rivestono la Convenzione per diritti umani e libertà fondamentali ed i successivi protocolli. La prima, “Progetto di dichiarazione dei diritti e delle obbligazioni fondamentali dell’uomo nell’Islam”, datata 1979, la seconda “Progetto di documento sui diritti dell’uomo nell’Islam”, dell’anno 1981 e la terza, adottata nella 19ª Conferenza Islamica il 5 agosto 1990, la “Dichiarazione del Cairo dei Diritti dell’uomo nell’Islam”, dimostrano che all’aggettivo “internazionali”, sempre omesso, è stato preferito un nome, un sostantivo, assolutamente qualificante: Islam.
La nozione di statuto personale, è entrata nell’ordine giuridico egiziano con la legislazione occidentale, così come l’abolizione dei tribunali misti (1949) e di quelli religiosi (1955). Tuttavia, ancora oggi l’appartenenza religiosa risulta fondamentale nelle questioni legali:
ogni individuo sarà giudicato in base alle norme dalla sua comunità d’appartenenza, tra le quali, in caso di disputa, si assicura la precedenza quella musulmana. Sono interdetti matrimoni tra donne musulmane e uomini professanti un’altra religione; al contrario, sono concessi i matrimoni tra uomini musulmani e donne di altre religioni, purché siano delle genti del libro**: i figli di un matrimonio misto tra un uomo musulmano ed una donna, per esempio cristiana, nasceranno automaticamente musulmani (richiamo alla stirpe di sangue ebraica). Non hanno valore le testimonianze di un non-musulmano, sporte a sfavore di un musulmano, ma per esempio continua ad essere tutelato il diritto di un musulmano ad essere poligamo (questo non avviene in altri Paesi Arabo-Islamici).
Nel 1928 fu fondata da Hassan al Banna, sempre in Egitto, l’associazione dei Fratelli Musulmani. Era il tramonto dell’Impero Ottomano, dopo circa 400 anni di dominazione, e lo scopo di questo nuovo movimento fu, inizialmente, la costruzione di uno Stato egiziano, islamico, fondato sull’applicazione della Sharia (la Legge di Dio). Il primo congresso del Partito avvenne nel 1933, quando i militanti erano 2.000; nel 1943 se ne contavano già più di 200.000. I contrasti che si stavano acuendo tra le forze di occupazione britannica in Palestina ed i movimenti ebraici per la liberazione della stessa, e la crescita esponenziale dei Fratelli Musulmani in pochi decenni, fecero pensare al sostegno britannico del movimento.
Nel 1945 si formò, all’interno dello stesso, una sezione palestinese, per combattere le organizzazioni sioniste. Ma l’assassinio, nel 1948, del Primo Ministro egiziano, Mahmud Fahmi Nokrashi, cambiò in maniera irreversibile le sorti del Partito, che fu accusato colpevole. Nel 1954 la confraternita è ufficialmente dissolta dalle autorità e d’allora è costretta a lavorare nell’ombra. In questo momento, i rappresentanti dei Fratelli musulmani nel parlamento egiziano, sono 88 deputati su 454, presenti in maniera indipendente. Fino al referendum del 26 marzo scorso, la Costituzione consentiva questa possibilità. Oggi non più (modifica dell’articolo 62). Non è inoltre permessa la candidatura del movimento, in quanto tollerato, ma non legale. Questo spiega l’opposizione dei Fratelli Musulmani all’ultimo referendum voluto dal Presidente Mubarak. Il 19 marzo il Parlamento ha approvato la modifica di 34 leggi costituzionali, portate ad un unico referendum popolare il 26 marzo. Il 21% (9.701.833) dei aventi diritto al voto (35.865.660), si è recato alle urne: le modifiche costituzionali sono passate con 75.9% voti a favore e 24.1% contrari. Ma nei giorni precedenti e nelle stesse ore in cui il popolo era stato chiamato a votare, il mondo ha conosciuto l’immagine di facciata dell’Egitto, o piuttosto quella nascosta: migliaia di persone hanno cercato di boicottare le elezioni, dai Fratelli Musulmani ad Amnesty International. L’opposizione sembra formata da organizzazioni totalmente diverse tra loro, ma perché in questo caso si sono trovate fianco a fianco, nella stessa lotta? Come si presenta oggi il nuovo Egitto? L’articolo 76, già modificato prima delle elezioni presidenziali del settembre 2005, ora prevede la possibilità di candidarsi soltanto a quei partiti esistenti da almeno cinque anni e che controllano almeno il 3% dei seggi in Parlamento; per l’articolo 62, come già accennato, non sarà più possibile candidarsi come figure indipendenti, senza un Partito. L’articolo 5 ora vieta la candidatura di Partiti religiosi (in aperta contraddizione con l’articolo due, secondo il quale “L’Islam è religione di Stato, la lingua araba è la sua lingua ufficiale e la sharia è la sua principale fonte giuridica”. L’articolo 179 prevede l’assunzione di nuovi poteri da parte del Presidente, giustificata dall’emergenza terroristica, tra i quali emerge la perdita di ruolo dei giudici e al contrario, un uso più frequente di tribunali militari (i quali non ammattono secondi appelli). Amnesty International denuncia queste riforme, reputandole le più grandi minacce ai Diritti Umani in Egitto dal 1981. Gli Stati Uniti, che sempre hanno fatto pressioni al Paese per l’instaurazione di un regime democratico, e che hanno un’Università nello stesso, che propone addirittura un Master in Legge Internazionale dei Diritti Umani, questa volta sembrano tacere. Alcune modifiche, inoltre, sembrano appositamente volute per perpetuare il ruolo primario del Partito Nazionale Democratico del Presidente (e del possibile, futuro leader, Gamal, suo figlio). Al di là delle considerazioni che possiamo trarre sulle questioni di Democrazia, Diritti Umani e Terrorismo, un elemento fondamentale, non deve sfuggirci: l’Egitto non è più lo stesso e comunque, rispetto ad ogni avvenimento futuro, dovremo tenerlo bene a mente. È passato da essere uno “Stato democratico e Socialista”, ad un “Sistema democratico, basato sulla cittadinanza” (modifica dell’articolo 1) – non è più socialista – dove vige la libertà economica e la tutela dei beni privati (nuovo articolo 4), dove la conservazione dell’ambiente – e non più il patrimonio socialista – diventa un’obbligazione per lo Stato (nuovo articolo 59). Il nuovo Egitto forse sarà meno democratico, meno islamico e meno protettore dei Diritti Umani, ma alcune caratteristiche/obiettivi appaiono evidenti: la corsa alla crescita economica e la ricerca di una stabile, considerabile posizione, nella nuova definizione geopolitica mondiale.
Marzo non è stato soltanto il mese del referendum costituzionale, ma dell’incontro tra il Primo Ministro egiziano ed il dirigente dell’UE, Klaus Ebermann, per la stipulazione di un piano di buon vicinato e cooperazione, che darà accesso all’Egitto a ben 55 milioni di euro entro il 2010 per programmi di educazione, infrastrutture ed energia; degli affari gestiti dal saudita Waled bin Talal, che investirà un totale di 450 milioni di lire egiziane nella parte meridionale del Paese, entro due anni, a cui si aggiungono gli accordi previsti con la Banca Mondiale per cui la portavoce, Vice Presidente per il Medio Oriente e l’Africa, Daniela Gressani, ha dichiarato, già in progetto l’espansione dell’aeroporto del Cairo e del settore bancario rivolto allo sviluppo del Paese; dell’intesa con Paesi dell’Asia centrale, come il Kazakhstan, con cui è prevista un’economia di cooperazione bilaterale, per un totale di 1 milione di dollari annui.
L’Egitto così, pur cambiando radicalmente il suo sistema politico, rimane nel delicato equilibrio d’oggi: appartenente al Sunni G-7 (con Arabia Saudita, Giordania, Indonesia, Malesia, Pakistan e Turchia), media abilmente sia con l’Iran, che con Israele – dopo gli accordi di Camp David del 1979, sono stati stipulati molti altri accordi, tra cui trattati di cooperazione agricola, economica, scientifica, in materia tessile, del cotone, meccanica e chimica, oltre alla stabilizzazione della frontiera marittima e del libero passaggio di turisti per Taba; stipula accordi economici con l’Asia ed altri di buon vicinato con l’UE, oltre a rimanere un Paese fedele agli Stati Uniti, almeno quanto all’Arabia Saudita.

* Così è chiamato il Cairo nella tradizione araba.
**Primo e secondo testamento, Il Corano.

2 Aprile 2007

CPG.

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